CIT Torino - Consorzio Intercomunale Torinese

La storia

Il Consorzio fra comuni è una delle forme associative volute dal D.Lgs. 267/2000 che, nel caso del C.I.T., ha consentito nel corso degli anni di attuare l’importante scopo sociale di costruire, assegnare e gestire alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica sul territorio di Torino e del suo hinterland. L’evoluzione gestionale delle attività consortili ha subìto profonde modifiche dalla data della sua costituzione (1980) ad oggi. Tali trasformazioni sono rinvenibili dalla lettura del Bilancio Sociale.

Le origini

Tra la metà degli anni settanta ed i primi degli anni ottanta, il fabbisogno abitativo per le classi meno abbienti si manifestò ancora una volta nell’area torinese. La 1ª e 2ª cintura registrarono un notevole flusso di immigrazione, prevalentemente dalle regioni meridionali, ma anche da zone sottosviluppate del centro-nord nonché da aree marginali dello stesso Piemonte, prevalentemente generato dal comparto automobilistico (Fiat) in quegli anni in notevole espansione. Conseguentemente l’edilizia residenziale pubblica dovette attrezzarsi per rispondere alla crescente domanda di abitazioni a canoni di locazione contenuti, essendo i nuovi nuclei spesso gravati da notevoli carichi familiari e con redditi molto vicini al limite della sussistenza. L’esigenza di ritrovare nuove aree idonee e di programmare in forma coordinata ed efficiente la progettazione e la costruzione di nuove abitazioni, anche e soprattutto al di fuori dei confini torinesi, portò ad un accordo tra 17 comuni dell’hinterland che si consorziarono per dar vita al Consorzio Intercomunale Torinese. Con Decreto del Presidente della Giunta Regionale 30/5/1980 n. 4223 aderivano al C.I.T. i seguenti Comuni: Alpignano (quota partecipativa 1,70%), Beinasco (q.p. 1,70%), Bruino (q.p. 1,25%), Borgaro Torinese (q.p. 1,70%), Caselle Torinese (q.p. 1,70%), Collegno (q.p. 2,20%), Grugliasco (q.p. 2,20%), Leinì (q.p. 1,70%), Moncalieri (q.p. 2,20%), Nichelino (q.p. 2,20%), Orbassano (q.p. 1,70%), Piossasco (q.p. 1,70%), Rivalta di Torino (q.p. 1,70%), Rivoli (q.p. 2,20%), San Mauro (q.p. 1,70%), Settimo Torinese (q.p. 2,20%), Torino (q.p. 70,25%).

Origini dell’Edilizia Residenziale Pubblica

Con particolare riferimento al territorio torinese, la storia dell’Edilizia Residenziale Pubblica è indissolubilmente legata e si fonde a quella degli Enti che, a partire dagli inizi del 1900, ne sono i gestori. Si tratta degli Istituti Autonomi per le Case Popolari, ora variamente denominati a seconda delle regioni italiane di appartenenza, che sono stati istituiti con la prima legge promulgata in Italia per facilitare la costruzione di case popolari (la legge n.254 del 31.5.1903 per iniziativa dell’on. Luigi Luzzatti).

Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del secolo, diffuse in Italia forme nuove di enti economici e l’intervento dello Stato a beneficio dei ceti popolari, senza trascurare l’effetto indotto sia su scala più propriamente sociale, sia come fattore di sviluppo economico. Si voleva con tale dispositivo trasformare e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, in specie dei ceti meno abbienti, applicando nel rapporto sociale il principio di solidarietà, informato a precise esigenze di giustizia distributiva. Questo principio di solidarietà e di giustizia sociale emergeva chiaramente dalla lettura dell’art. 22 della citata legge, che improntava l’iniziativa degli Istituti Autonomi: non un interesse prettamente economico o esigenze di profitto, ma una precisa volontà ad intervenire nel sistema sociale, avendo come oggetto solo ed esclusivamente il “bene casa”.

Con Legge 31 maggio 1903 n. 254 e successivi regolamenti, lo Stato Italiano emise il primo provvedimento organico inteso a ricercare un rimedio all’assillante problema delle abitazioni minime, e con il nuovo Testo Unico del 27 febbraio 1908 n. 85 ed il successivo Regolamento 12 agosto 1908 n. 528, incoraggiò le costruzioni residenziali con benefici di carattere fiscale e finanziario. Gettate così le basi dell’edilizia economico-popolare, nacque nelle principali città italiane, l’Istituto per le Case Popolari. Per poter delineare in maniera approfondita la materia dell’Edilizia Residenziale Pubblica è indispensabile soffermarsi sulla natura dell’Istituto per le Case Popolari e su come esso, sia a livello nazionale che locale, abbia avuto ed abbia tutt’ora una funzione fondamentale per la gestione delle attività legate all’edilizia economico/popolare.

L’edilizia sociale nella città di Torino

Per iniziativa del Comune e con l’ausilio della Cassa di Risparmio di Torino e dell’Istituto Opere Pie del San Paolo, sorse l’Istituto Case Popolari, riconosciuto come Ente Morale con Regio Decreto 8 dicembre 1907, “filantropico nei fini ed economico nei mezzi, attrezzato e specializzato nell’organismo tecnico amministrativo e finanziario per la costruzione di un vasto demanio di stabili di carattere economico da concedersi in locazione senza scopo speculativo”. Gli Enti fondatori, contribuendo ciascuno con 1 milione, dotarono l’Istituto del primo capitale di Lire 3 milioni. Inoltre il Comune assegnò gratuitamente 6 lotti di terreno e i due Istituti di Credito accordarono la concessione di mutui a condizioni particolarmente favorevoli. La dislocazione dei quartieri realizzati nel primo periodo avvenne in zone industriali seguendo, nello sviluppo, l’allargamento e la trasformazione dell’intera città di Torino. Nel periodo che va dal 1907 al 1912 sorsero 8 quartieri (o gruppi come erano allora denominati) con un totale di 2.398 alloggi e con 4.449 camere affittabili. Le esigenze dell’urbanesimo sopra ricordate, collegate al costo delle costruzioni ed alla scarsa disponibilità di capitale non consentirono di orientarsi verso un tipo ideale di costruzione.

L’Istituto dovette ricorrere invece alla costruzione intensiva di caseggiati estremamente semplici ed economici a 4 o 5 piani fuori terra. Dopo questo iniziale periodo di attività cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di un rallentamento nella richiesta di alloggi, sintomo che determinò una crisi con sensibili perdite di bilancio dovute agli alloggi sfitti. Tale situazione contingente si protrasse fino al 1917 quando le popolazioni del Veneto furono costrette dalla guerra con l’Austria a lasciare le loro terre invase e a trovare sistemazione negli alloggi sfitti delle case popolari. Risorse così impellente il problema delle costruzioni e si fece nuovamente sentire la penuria di case, aggravata dall’aumento vertiginoso del costo dei materiali da costruzione.

Nella primavera del 1919 ebbe inizio un secondo ciclo di attività edilizia nell’ambito di un programma concordato con il Comune di Torino, il quale concesse gratuitamente le aree occorrenti alla realizzazione di altre 3.500 camere e assegnò il proprio contributo nel rimborso degli interessi dei capitali mutuati, oltre alla fidejussione a garanzia dei medesimi; questo consentì di praticare fitti relativamente contenuti . Il secondo ciclo di attività dell’Istituto risultò come il più travagliato e il più critico. Con Regio Decreto 15 luglio 1923 numero 1714, si costituì l’Istituto per le Case Economiche proprio con lo scopo di costruire alloggi da cedersi in proprietà. Nel periodo che va dal 1921 al 1928, furono realizzati 3 gruppi di quartieri con un totale di 2.226 alloggi; dal 1930 al 1940 sorsero altri quartieri con un totale di 1.253 alloggi. Nel 1929 fu riscattato il patrimonio della Società Anonima Cooperativa “Ente Nazionale Della Città Giardino”, la cui proprietà era costituita da 21 palazzine a 2 piani f.t. in regione S. Francesco di Mirafiori, che furono cedute agli occupanti già soci della Cooperativa, col patto di futura vendita. Successivamente nel 1931 l’Istituto riscattò le attività della Società Torinese Abitazioni Popolari in liquidazione e nel 1934, in applicazione del Regio Decreto n. 881/34, ebbe luogo la fusione tra il patrimonio immobiliare cittadino e l’Istituto Case Economiche, forte di ben 7 quartieri.

Nello stesso anno vennero concluse le trattative per il passaggio in gestione delle case municipali, costituite da 6 gruppi comprendenti 917 alloggi. La Legge 6 giugno 1935 n. 1129 stabilì la trasformazione degli Istituti Case Popolari in enti provinciali, riuniti per l’unità di interessi in Consorzi, alle dirette dipendenze del Ministero dei Lavori Pubblici e un successivo decreto sancì il riconoscimento dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Torino approvando il nuovo Statuto. Gli anni che separarono questi ultimi avvenimenti dallo scoppio della seconda guerra mondiale videro l’Istituto impegnato con i primi cantieri in provincia, in virtù dei contributi dei Comuni e del finanziamento dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Il terzo ciclo è direttamente e conseguentemente collegato agli avvenimenti del secondo conflitto mondiale. La stasi in dipendenza degli avvenimenti bellici fu soltanto interrotta da piccole costruzioni, perchè la mancanza di fondi e la scarsità di materie prime impedirono ogni serio programma edilizio; l’attività dell’Istituto fu comunque intensa, con la creazione di ricoveri antiaerei e la costruzione di baracche e di alloggi di fortuna (le cosiddette casermette) per i danneggiati dagli eventi bellici. Alla fine del conflitto le perdite risultarono gravissime: 252 furono gli alloggi totalmente distrutti e 3.425 quelli sinistrati. I primi anni del dopoguerra videro l’Istituto impegnato ad affrontare il lavoro di ricostruzione e di riparazione dei danni bellici e qualche anno dopo fu progettato il completamento del Quartiere di Mirafiori con un significativo miglioramento qualitativo degli alloggi realizzati.

Vennero anche edificate case da assegnare a riscatto e a locazione, in virtù di alcune provvidenze legislative quali la legge INA-Casa e la Legge per i profughi e i baraccati. Il numero degli alloggi costruiti fu in quel periodo di 1.810. La vera e propria ripresa edilizia cominciò tuttavia nel 1953 ed allora la città di Torino e la Provincia si arricchirono di case e di quartieri costruiti dall’Istituto in proprio o per conto di altri Enti. Iniziarono a sorgere così i grandi complessi del Regio Parco, della Falchera, di Lucento, corso Sebastopoli. Contemporaneamente vennero assegnati in amministrazione gli stabili delle case statali e della Gestione INA-Casa. Nel 1958 venne posta la prima pietra del grande quartiere residenziale delle Vallette, realizzato per conto del comitato di coordinamento dell’edilizia popolare (C.E.P.), che prevedeva la realizzazione di 16.469 vani. Nel dicembre del 1962 venne appaltato per conto della Gestione INA-Casa il nuovo complesso residenziale di Mirafiori Sud, che consentì la costruzione di 798 alloggi per 4.494 vani oltre all’edificio per il centro commerciale. La consistenza del patrimonio al dicembre 1962 era di 22.307 alloggi. In quegli anni particolare importanza per l’edilizia pubblica, e conseguentemente per lo IACP, assunsero le Leggi n. 167 del 18 aprile 1962 e n. 60 del 14 febbraio 1963. Mentre con la prima Legge, visto l’esaurirsi del patrimonio di aree disponibili di proprietà dell’Ente o del Comune, si assicurava il reperimento di nuove aree per ulteriori insediamenti abitativi economici-popolari, con la seconda si istituiva la Gestione Case per Lavoratori (Gescal), con la liquidazione del patrimonio della gestione INA-Casa. Gli anni settanta segnarono un’altra pietra miliare nella storia dell’edilizia residenziale pubblica con la Legge n.865/71, che di fatto trasformò gli Istituti Autonomi Case Popolari da Enti Pubblici Economici a non Economici, con prevalenza pertanto dell’attività pubblico-assistenziale.

Fu l’avvio di una trasformazione progressiva della disciplina del settore tanto nella programmazione nazionale e regionale degli interventi quanto nel decentramento delle funzioni amministrative, in particolare nel ruolo delle regioni, ma soprattutto con una gestione unitaria delle risorse disponibili. Tra il 1972 e il 1977 alcuni D.P.R. introdussero principi di integrazione della politica della casa, di sviluppo del territorio e di una disciplina unitaria dei canoni. Si mise anche in atto il primo tassello del decentramento burocratico con trasferimento di deleghe alle Regioni e si disciplinarono le assegnazioni nonché l’organizzazione degli Enti Pubblici operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica. A seguito dell’emanazione di nuove leggi e della soppressione di enti quali la Gescal, il patrimonio fino ad allora costruito fu in parte ceduto agli assegnatari aventi diritto ed in parte trasferito agli I.A.C.P., che divennero gli unici soggetti attuatori dell’edilizia residenziale pubblica.

Il più importante provvedimento di quel periodo è costituito dal cosiddetto Piano Decennale per l’Edilizia (Legge n.457 del 5.8.1978) che, affiancandosi alla disciplina dei suoli (Legge n.10 del 28.1.1977) e a quella dell’equo canone (Legge n. 392 del 27.7.1978), contribuì a delineare un quadro organico di vasto respiro. Il piano decennale del 1978 è un documento programmatico di base per l’insieme dell’edilizia residenziale pubblica, nel quale trovano posto sia gli interventi di edilizia sovvenzionata (realizzata con il contributo dello Stato con mutui in conto capitale), sia quelli di edilizia convenzionata (realizzata grazie alla convenzione tra vari enti pubblici, istituti di credito e imprese costruttrici per alloggi in sola locazione a canone fisso per periodi determinati), sia quelli di edilizia agevolata (realizzata con contributi dello Stato in conto interessi), sia gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, sia infine quelli per l’acquisizione e l’urbanizzazione delle aree necessarie alle edificazioni. Il governo dell’edilizia residenziale pubblica è affidato al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), al Comitato regionale per l’Edilizia Residenziale (CER) e alle Regioni. Il Ministero dei Lavori Pubblici viene così a perdere gran parte della posizione ricoperta in precedenza. L’organo centrale della programmazione del settore è il CER (organismo ora disciolto), che opera in modo collegato alle scelte generali del CIPE; viene istituito un Fondo Unico per l’edilizia popolare presso la Cassa Depositi e Prestiti che ha il compito di procedere alle erogazioni agli enti richiedenti (Regioni) in relazione allo svolgimento dei programmi prestabiliti. Il sistema finanziario è rigidamente accentrato e pone in essere un delicato intreccio di procedimenti che si condizionano reciprocamente e che devono attuarsi secondo una serrata scansione dei tempi.

Fu così che il deficit abitativo aumentò, con conseguenze anche gravi nelle aree metropolitane, e si verificò un sostanziale ristagno dell’intervento pubblico nell’edilizia. Si resero indispensabili nuove normative sulle modalità di finanziamenti (Legge 25/1980 e Legge 94/1982) che permisero nuovamente l’intensificarsi dell’attività costruttiva, alla quale si unì anche quella del recupero abitativo.

Gli I.A.C.P., potendo contare su sovvenzioni per la realizzazione della programmazione pluriennale, ripresero ad operare efficacemente, nonostante i bassi ricavi derivanti da canoni di locazioni stabiliti per legge li penalizzassero con nuovi interventi abitativi ed una proficua serie di iniziative di assistenza a favore delle famiglie locatarie. Come già per il 1° e 2° settennio INA-Casa, anche il piano decennale Gescal, venne finanziato da un “polmone centrale” a cui affluirono i contributi dello Stato, dei lavoratori dipendenti e dei datori di lavoro. Con questo disposto legislativo, pur essendo la programmazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica demandati ad un Comitato Centrale con sede in Roma, l’Istituto assunse vasti e nuovi impegni con compiti esecutivi, direzionali e di vigilanza sul programma decennale per la generalità dei lavoratori, per Cooperative, Aziende ed Enti. Negli anni settanta inoltre, l’inasprimento della cosiddetta “bolletta energetica” causata dall’aumento del costo del petrolio, con i conseguenti negativi riflessi sociali ed il perdurare del flusso migratorio, riproposero con cadenze spesso drammatiche il problema casa, che esplose con le occupazioni di massa di abitazioni intervenute nell’autunno del 1974. E questo malgrado l’approvazione da parte dello I.A.C.P. di Torino, in accordo con la F.I.A.T., di un piano straordinario per la realizzazione di abitazioni riservate prevalentemente ai dipendenti dell’Azienda. Sui 4.000 alloggi previsti se ne realizzarono soltanto 2.542 ubicati in Torino, Orbassano, Crescentino e Volvera.

Contestualmente, venne attivato un intervento straordinario finanziato dalla Gescal e localizzato a Falchera Nuova (n. 1370 alloggi), Mirafiori Sud (n. 830 alloggi), Altessano- Venaria (n. 800 alloggi) ed in altri centri della Provincia. L’attività dell’Istituto – divenuto con la Legge di riforma n. 865/71 unico Ente attuatore dei programmi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata dallo Stato – non si fermò però alle nuove costruzioni, ma con i finanziamenti delle Leggi n. 513 del 77 e n. 457/78, predispose un vasto piano d’intervento di risanamento per i quartieri costituiti prima del 1925 che interessò 1644 alloggi, anche per porre freno ad una preoccupante crescita di morosità totale e autoriduzioni dei canoni.

Nonostante le innumerevoli difficoltà, l’Istituto tra gli anni ‘70 e ‘80 riuscì a costruire e risanare 13.116 abitazioni, sicché il patrimonio in gestione, pur ridottosi per gli alloggi venduti agli inquilini, annoverò in quel periodo ben 30.788 alloggi (di cui 18.625 in proprietà, 9.929 dei Comuni, 2.234 dello Stato). I locali commerciali e comunque non ad uso abitativo in gestione erano 2.937. Dal 1 gennaio 2015 il CIT ha ripreso la gestione del proprio patrimonio.

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Dipende da: L’Ente
Ultima modifica: 20 Maggio 2022 alle 08:31
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